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Festa dei Ceri a rischio: idea 11 settembre se il 15 maggio non fosse possibile

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La Festa dei Ceri rischia di dover essere sospesa? La possibilità c’è, poiché il 15 maggio si avvicina. Nessuna dichiarazione ufficiale al riguardo, se non il monito del sindaco di Gubbio, Filippo Mario Stirati, che qualche giorno fa ha esortato con forza ad attenersi scrupolosamente alle restrizioni per evitare ripercussioni sugli appuntamenti più importanti della città. E’ chiaro che si riferisse ai Ceri. Il sindaco sa che la faccenda dovrà essere esaminata senza escludere provvedimenti drastici e aspetta l’evolversi della pandemia, ben consapevole che entro metà aprile una decisione andrà comunque presa. La speranza è che si accorcino i tempi dell’emergenza coronavirus: in questo momento prevalgono taluni previsioni secondo cui per avviarsi alla piena normalità si dovrà attendere almeno la fine di aprile. In questo contesto l’incertezza regna sovrana, considerando che la prima domenica di maggio i Ceri dovrebbero lasciare come da tradizione la basilica sul monte Ingino per essere portati nella sala dell’Arengo del palazzo dei Consoli in attesa della festa.

LE COMPLICAZIONI. Con questi chiari di luna le cose si stanno già complicando. Sulla sospensione della festa qualche timore fondato avanza, senza nasconderlo al di là delle esternazioni ufficiali o sui social: si preferisce tacere confidando di esorcizzare tutto. Si prospettano in camera caritatis, però, le prime soluzioni. Non c’è, infatti, la benché minima volontà di annullarla ma semmai di rinviarla. L’idea che circola, al momento in modo assolutamente informale, è prospettare la festa l’11 settembre in occasione della ricorrenza della traslazione del corpo di Sant’Ubaldo dalla cattedrale in cima al monte Ingino nella basilica. Questa data ha fatto capolino negli ambienti ceraioli anche in tempi passati ma soltanto come ipotesi per un’edizione straordinaria della festa legata a qualche centenario.

LA STORIA. L’11 settembre rappresenta un altro momento solenne nelle ricorrenze ubaldiane: dopo la canonizzazione decisa da Papa Celestino II il 5 marzo 1192 (gli storici sono divisi su questa data sono divisi), all’11 settembre 1194 risale il trasferimento sul monte Ingino in una chiesetta edificata poco al di sotto della rocca, nei pressi della pieve di San Gervasio, per decisione del vescovo Bentivoglio. La leggenda racconta che in sogno fu lo stesso Sant’Ubaldo a chiedere al suo successore di indire un digiuno cittadino di tre giorni e, subito dopo, di porre il suo corpo su di un carro trainato da giovenchi indomiti, lasciandoli liberi di andare: il luogo dove si sarebbe fermato il carro era quello prescelto dalla Provvidenza. Così fu fatto. I giovenchi imboccarono la via che portava al monte e si fermarono presso la piccola chiesa di San Gervasio. I due rami utilizzati per stimolare i giovenchi, piantati in terra, germogliarono originando due splendidi olmi. Da allora l’Ingino diventò il Colle eletto dal Beato Ubaldo, come lo chiamerà Dante nell’undicesimo canto del Paradiso: il monte scelto da Sant’Ubaldo perché gli eugubini di tutte le generazioni potessero rivolgere verso lassù lo sguardo, fiduciosi. Durante i secoli seguenti a quella data, il corpo del patrono venne riportato in città solo cinque volte: nell’agosto 1919 in occasione della fine della prima guerra mondiale, nel settembre 1929 per festeggiare l’ottavo centenario della consacrazione del santo a vescovo di Gubbio (1129), nel maggio 1960 nell’ottavo centenario della morte, nel settembre 1986 per il nono centenario della nascita e nel settembre 1994 a ricordo della traslazione avvenuta otto secoli prima.