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Lunedì dell’Angelo: il significato storico e quello liturgico

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di LUIGI GIRLANDA

Nel linguaggio comune la giornata che segue la domenica di Pasqua è chiamata in diversi modi: pasquetta, lunedì di Pasqua o lunedì dell’angelo. Il termine corretto, dal punto di vista della liturgia cattolica, è lunedì dell’ottava di Pasqua. Come accade anche per il Natale, infatti, è tradizione millenaria che le due solennità più importanti dell’anno liturgico siano celebrate dalla Chiesa per un’intera settimana. Nel caso della Pasqua, che cade sempre nello stesso giorno, si va da domenica a domenica, otto giorni appunto. L’ottava di Pasqua era sino al secolo X un’unica festa; si sospendevano gli affari e i tribunali erano chiusi. Il primo giorno della settimana la stazione – spiegheremo subito cosa significa – si teneva a San Pietro, sulla tomba del capo della Chiesa, il primo apostolo al quale il Signore apparve il mattino di Pasqua.

Cosa significa, in questo contesto, il termine stazione? La Chiesa lo ha ripreso dall’uso militare romano per indicare il luogo assegnato alle guardie. Nel senso liturgico fu adoperato a significare l’assistenza dei fedeli alle sacre funzioni in una data chiesa, come una sorta di “guardia” al Santissimo sacramento (l’ostia consacrata). Lo stesso concetto verrà usato poi per la pia pratica della Via Crucis con le sue “stazioni”.

Il termine lunedì dell’angelo, pur non liturgico, è usato per fare memoria di un episodio molto noto e legato alla risurrezione di Gesù. Si tratta dell’apparizione dell’angelo alle donne che si erano recate, il giorno dopo il sabato, alla tomba di Gesù per portare a termine l’opera di unzione del corpo con oli aromatici, visto che il giorno della morte si era fatta una sepoltura frettolosa per l’incombere della solennità della Pasqua ebraica (che, secondo l’uso degli ebrei, iniziava la sera del giorno prima). 

Racconta l’evangelista Marco: “Passato il sabato, Maria di Màgdala, Maria di Giacomo e Salome comprarono oli aromatici per andare a imbalsamare Gesù. Di buon mattino, il primo giorno dopo il sabato, vennero al sepolcro al levar del sole. Esse dicevano tra loro: “Chi ci rotolerà via il masso dall’ingresso del sepolcro?”. Ma, guardando, videro che il masso era già stato rotolato via, benché fosse molto grande. Entrando nel sepolcro, videro un giovane, seduto sulla destra, vestito d’una veste bianca, ed ebbero paura.

Ma egli disse loro: “Non abbiate paura! Voi cercate Gesù Nazareno, il crocifisso. È risorto, non è qui. Ecco il luogo dove l’avevano deposto. Ora andate, dite ai suoi discepoli e a Pietro che egli vi precede in Galilea. Là lo vedrete, come vi ha detto” (16, 1-7).

Quel giovane era in realtà un angelo, cioè una creatura puramente spirituale, come insegna la dottrina cattolica, quindi priva di corpo. Quando gli angeli si fanno vedere, sempre per portare messaggi da parte di Dio (il termine angelo deriva dal greco e significa proprio “messaggero”), assumono un corpo apparente, per permettere ai nostri occhi di percepire la loro presenza. Non si tratta quindi di una incarnazione, termine riservato giustamente al Verbo di Dio, che pur essendo spirito ha preso in Gesù un corpo reale e non evanescente e apparente come quello degli angeli.

In ricordo di questo episodio del Vangelo di Marco, una pia tradizione ha voluto chiamare il secondo giorno dell’ottava di Pasqua: lunedì dell’Angelo.