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Il Doc Fest esalta il vino eugubino: la riscoperta di una tradizione troppo spesso sottovalutata

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Le cinque etichette proposte nella degustazione del Doc Fest

Solo pensarlo una decina d’anni fa sarebbe stato impossibile. E invece Gubbio ha capito che mettere la bandierina nella cartina geografica vinicola della regione non è più una missione impossibile. Tanto che al Doc Fest per la prima volta si è potuto assistere a una vera e propria degustazione di etichette locali, una rivoluzione pensando alla crescita di un settore nel quale la città dei Ceri era sempre rimasta indietro rispetto alla nobile tradizione umbra. Un’escalation rapida che potrebbe presto portare nuove realtà e rendere il vino eugubino ancora più conosciuto e apprezzato fuori dai confini locali, segno tangibile di una riscoperta di cui il Doc Fest si è voluto fare in qualche modo promotore. “La tradizione del vino a Gubbio si perde nella notte dei tempi, ma negli ultimi decenni non è stata pari a quello che la storia racconta”, ha spiegato in apertura di incontro Bruno Ronchi, professore dell’Università della Tuscia, che ha introdotto l’evento dal titolo “Il vino nel territorio eugubino: tradizione e innovazione”, organizzato in collaborazione con la delegazione di Gubbio dell’Associazione Italiana Sommeliers. E per l’occasione ben 5 etichette locali, tutte di recente costituzione, hanno allietato i presenti con una degustazione che rappresenta un vero e proprio incipit per una rinascita della tradizione vinicola locale.

La degustazione presso gli Arconi

TRADIZIONE. Una ricostruzione accurata dello storico Fabrizio Cece ha aiutato a risalire a tutta la documentazione presente all’interno dell’Archivio di Stato, tanto che il primo documento storico nel quale si parla di installazioni di vigneti a Gubbio risale a oltre 11 secoli fa. “È un qualcosa di unico e di prezioso, una testimonianza di una presenza vinicola che fa del territorio eugubino uno dei pionieri in questo campo”, ha ricordato Cece, che ha poi offerto una panoramica delle tante varietà di cui si fa menzione nel corso dei secoli, portando all’attenzione anche l’opera di numerosi imprenditori dell’epoca che hanno promosso la coltivazione dei vigneti realizzando anche numerose tipologie di vino, spesso provenienti da territori lontani. “Gubbio ha avuto una grande varietà di vigneti ed è un peccato che nel corso del 20esimo secolo questa tradizione sia andata un po’ scemando. Ci sono documenti in cui viene spiegato come quello eugubino fosse uno dei vini migliori della regione, tanto da essere portato anche all’attenzione di alcuni papi”. Raffaele Capponi ha provveduto poi a sottolineare quelle che sono le caratteristiche del territorio, tali da poter offrire una buona varietà di produzione: “La fascia appenninica che va da Branca fino a Monteleto è ideale per la coltivazione, trattandosi di terreni di marna e pietra esposti su versanti che godono di ottima esposizione solare, favorendo anche la capacità dell’uva di contenere al meglio gli zuccheri. Sul cosiddetto piano, la presenza di terreni argillosi a sua volta favorisce l’installazione di numerose tipologie, aiutate anche dall’altitudine tra i 400 e i 500 metri. Poi ci sono casi di viticoltura a latitudini più alte che a sua volta, favorite dal clima, riescono a spiccare e proporre ottime varietà di vini. Vedere tanto fervore e tanti nuovi appassionati avvicinarsi a questo mondo è positivo: magari è presto per parlare di una DOCG, ma sicuramente le potenzialità sono importanti. E sarà fondamentale per Gubbio dotarsi di una cantina in grado di poter radunare più produttori: fare squadra è essenziale, e l’errore del passato è stato proprio quello di aver sempre seminato il proprio orticello, pensando di essere i migliori e finendo per disperdere conoscenze e crescita”.

I produttori delle cinque etichette presenti alla degustazione (al centro Cristian Belardi)

INNOVAZIONE. Le cinque etichette che AIS Gubbio ha proposto, illustrate da Cristian Belardi (con lui anche Giuseppe Agostinelli e Giulio Donati), riguardano cinque nuove esperienze che hanno già fatto conoscere Gubbio fuori dai confini locali. L’Azienda Agraria Semonte, fresca di realizzazione della prima cantina locale, ha portato in tavola lo spumante metodo classico brut “Battista”, nome che riprende quello di Donna Battista, moglie di Federico da Montefeltro. Particolarmente attesa la prima volta della Società Agricola MiLeGhi dei giovani Angelo Ghirelli, Gabriele Lepri e Luca Minelli, che dal 2017 hanno deciso di impiantare un vitigno nella Serra di Burano oltre quota 700 metri (da qui la denominazione di viticoltura eroica, prontamente riconosciuta), presente con il “Calluna della Serra”, primo vino bianco realizzato e presente in soli 300 esemplari. La società Castello di Solfagnano ha proposto “Col Marinello”, un bianco dei Colli Altotiberini DOC, mentre la Società Agricola Il Troscione, che da anni ha riattivato delle vigne in disuso nella zona di Semonte e più in generale della piana eugubina, era presente con “Oncia”, vino rosso già da anni apprezzato e riconosciuto per la sua particolarità. Infine, l’Azienda Agraria Valentina Pompei di Castel d’Alfiolo ha proposto “La Badia”, un vino rosso ITG realizzato in buona misura nelle vigne di Padule e dintorni. “L’auspicio è che da qui ai prossimi anni altre etichette possano aggiungersi e creare una filiera capace di produrre vini riconosciuti anche fuori dai confini locali e di offrire opportunità di lavoro per tanti giovani”, ha concluso Belardi, con il prof. Ronchi che ha sottolineato l’importanza di far conoscere le eccellenze territoriali e puntare molto anche su una filiera turistica capace di accogliere appassionati e degustatori. E perché no, riprendere quel filo con la storia interrotto troppo precipitosamente, evitando di pensare che l’erba del vicino (in questo caso il vino dei vicino) sia sempre migliore.