di LUIGI GIRLANDA
Nel cuore dell’Umbria, tra le pietre antiche di Gubbio, si cela una storia dimenticata ma carica di significato ecclesiale: quella di Marcello Cervini, che fu vescovo della città prima di salire al soglio pontificio con il nome – o meglio, senza cambiarlo – di Marcello II. Era il 1555. Il suo pontificato durò solo 22 giorni. Una morte così rapida, tanto improvvisa quanto simbolica, pose fine a una prassi ormai rara e la trasformò in una regola non scritta: da allora, nessun papa ha più osato mantenere il proprio nome di battesimo.
Non pochi, già all’epoca, videro in quell’evento l’ombra di una “maledizione” – ovviamente non in senso magico, ma come segno provvidenziale – rivolta a chi, salendo al soglio pontificio, non accoglieva il gesto simbolico di rinascita rappresentato dal cambio del nome. Da quel momento, nella memoria della Chiesa, si fece strada l’idea che il nome nuovo fosse anche una protezione, un segno di obbedienza al disegno di Dio. Nessuno, dopo Marcello II, osò più sfidare questa consuetudine.
Marcello Cervini era originario di Montefano, nelle Marche, ma fu profondamente legato a Gubbio, di cui fu vescovo dal 1544. La sua nomina si collocava in un momento delicato per la Chiesa, durante il pontificato di Paolo III, con il Concilio di Trento in corso e una crescente esigenza di riforma morale e dottrinale. Cervini si distinse per la sua integrità, la cultura umanistica e la ferma volontà di riformare la Chiesa “dall’interno”.
A Gubbio, anche se non vi risiedette a lungo, lasciò una memoria viva e rispettata, sia per la sua dottrina che per la sua austerità di vita. Era considerato un vescovo di grande serietà e dottrina, stimato dai fedeli e ammirato anche in Curia. Il suo nome è ancora oggi presente in alcuni documenti e lapidi conservati negli archivi ecclesiastici e civili della città.
Quando fu eletto papa il 9 aprile 1555, Cervini scelse di non cambiare nome, divenendo Marcello II, in segno di continuità personale, ma anche – secondo alcuni – di umiltà. Malgrado la brevità del suo pontificato, riuscì a lasciare un’impronta chiara: si oppose con decisione al nepotismo, dichiarò che nessun parente sarebbe stato promosso a cariche ecclesiastiche, e annunciò l’intenzione di proseguire e rafforzare la linea di riforma tridentina. Era un papa di dottrina limpida e spirito forte, e molti lo considerarono un precursore della Chiesa riformata e purificata che il Concilio avrebbe cercato di delineare.
Fu colto da un colpo apoplettico la sera del Giovedì Santo e morì il 1° maggio. Avrebbe compiuto 54 anni pochi giorni dopo, il 6 maggio.
La tradizione di assumere un nuovo nome pontificale nacque nel VI secolo, quando Giovanni II, salito al soglio con il nome di battesimo “Mercurio”, ritenne inopportuno portare un nome di divinità pagana e decise di cambiarlo. Il gesto nacque da una necessità concreta, ma col tempo assunse un valore simbolico sempre più profondo, fino a diventare quasi un rito di passaggio.
A questa prassi si è aggiunta, nel corso dei secoli, una copertura teologica tutt’altro che secondaria. In fondo, il primo papa della storia fu proprio colui al quale Cristo stesso cambiò il nome, da Simone a Pietro (Mt 16,18). Il nuovo nome indica una nuova missione, una vocazione che trasfigura la persona: non si è più solo se stessi, ma un segno vivente di un compito ricevuto dall’alto.
È anche per questo che i papi hanno sempre scelto nomi della tradizione, spesso in omaggio a predecessori che ne incarnavano l’esempio o l’insegnamento. Persino Giovanni Paolo I, unico a unire due nomi, volle spiegare che intendeva così porsi espressamente alla scuola dei due predecessori del Concilio, senza nulla aggiungere di proprio. Un gesto di umiltà e di fedeltà, per dire che il papa non è un innovatore, ma un custode.
Negli ultimi secoli, con una sola nota eccezione, nessuno ha più scelto un nome senza precedenti, e non per mancanza di creatività. Al contrario: si è sempre considerato più nobile (e veramente umile) il desiderio di mettersi alla sequela dei predecessori, piuttosto che proporre – anche solo simbolicamente – una propria visione personale del ministero petrino.
In tempi confusi come quelli che stiamo vivendo, questo piccolo dettaglio – il nome scelto – può rivelare molto più di quanto sembri.
Lascia una Risposta