di LUIGI GIRLANDA
C’è un giardino all’inizio della storia umana, e un giardino alla fine della vicenda di Gesù. Lì, nell’Eden, era nato il primo tradimento: quello dell’uomo contro Dio. Qui, nel Getsemani, sta per consumarsi l’ultimo e più grave dei tradimenti: quello di un discepolo amato contro il Figlio di Dio. Non è casuale che i Vangeli collochino l’ingresso di Giuda Iscariota proprio in un giardino. È il rovescio dell’Eden. Dove là l’uomo aveva detto il suo “no” alla volontà divina, qui un apostolo ripete lo stesso gesto di rottura. Ma con una differenza: questa volta il tradimento non viene da chi è lontano da Dio, ma da chi gli è stato più vicino.
Giuda Iscariota è un nome che attraversa i secoli come un marchio. Nessun altro tra i Dodici ha lasciato un’eco così carica di ambiguità e condanna. Ed è proprio questa centralità scomoda a rendere storicamente credibile la sua figura. In una narrazione costruita a tavolino per esaltare il Maestro e i suoi seguaci, un apostolo traditore sarebbe stato il primo dettaglio da eliminare. Invece, è lì, presente in tutti e quattro i Vangeli, senza sconti, senza giustificazioni.
A ricordarlo, tra gli altri, fu persino Jean-Jacques Rousseau, pensatore tutt’altro che vicino alla dottrina cristiana. Nella Professione di fede del Vicario Savoiardo, egli scrisse la celebre frase: “Amico mio, non è così che si inventa.” Un giudizio che vale come attestato di veridicità storica. Giuda è troppo compromettente, troppo destabilizzante per essere un’invenzione. Nessun autore antico, se avesse voluto scrivere una biografia edificante di Gesù, avrebbe immaginato un discepolo infedele, per giunta così vicino al Maestro.
Non solo. Giuda non è un avversario esterno, non è un fariseo, non è un romano. È un apostolo. Uno dei Dodici scelti personalmente da Gesù. Una presenza intima, familiare, accreditata. Viene addirittura incaricato di amministrare la cassa comune del gruppo (Gv 12,6), a conferma della fiducia riposta in lui. È la dimostrazione che il tradimento più profondo nasce sempre dall’interno. E proprio questa sua posizione rende il suo gesto ancora più grave.
Nessuna comunità religiosa, desiderosa di consolidare la propria autorevolezza, avrebbe lasciato spazio a una figura tanto imbarazzante se non fosse stata realmente parte della vicenda. Per questo, tra i tanti dettagli evangelici, Giuda resta uno dei più forti argomenti apologetici a favore della storicità dei Vangeli. Nessuno avrebbe inventato una simile ombra così vicina alla luce.
Il tradimento che nasce dentro
Ciò che rende il gesto di Giuda particolarmente inquietante non è solo il fatto in sé, ma il contesto da cui nasce. Il traditore non è un nemico dichiarato, ma un uomo di casa. Vive accanto a Gesù, ascolta i suoi insegnamenti, assiste ai miracoli, partecipa all’intimità del gruppo apostolico. Questo dettaglio non è secondario: il male più devastante non viene dall’esterno, ma si insinua dove meno lo si aspetta. Anche tra coloro che professano di seguire la verità.
La dinamica del tradimento è lucida, deliberata. Giuda non viene corrotto, non subisce pressioni. È lui ad andare dai sommi sacerdoti con una proposta esplicita: “Quanto volete darmi perché io ve lo consegni?” (Mt 26,15). L’accordo si chiude per trenta denari, una cifra simbolica nella cultura ebraica: il prezzo previsto per riscattare la vita di uno schiavo. La verità più alta viene svenduta al prezzo più basso.
Ma ciò che colpisce ancora di più è che Giuda non si rivolge ai romani. La trattativa non avviene con Pilato né con i soldati dell’Impero. Avviene con i capi religiosi del suo stesso popolo. Il potere giudaico — sacerdoti, anziani, scribi — si rivela il vero promotore del complotto. È a loro che Giuda offre il tradimento, ed è da loro che riceve il compenso. Roma interverrà solo per eseguire la sentenza. Ma a volere la morte del Messia, fin dal principio, è il giudaismo ufficiale.
Questo elemento è costante nei Vangeli. Nessuno di essi attribuisce a Pilato la responsabilità primaria della condanna. Anzi, ne sottolineano l’esitazione, il tentativo di scaricare la colpa. Ma Giuda no: il suo gesto è preciso, volontario, mirato. Non è un tradimento “contro” il potere. È un tradimento “con” il potere.
In questo senso, Giuda diventa l’icona eterna di ogni deviazione interna alla fede. Il simbolo di chi tradisce non per ignoranza o persecuzione, ma per calcolo. Di chi, stando dentro il recinto sacro, ne perverte il senso. È una figura scomoda, ma necessaria. Un monito che attraversa i secoli.
La disperazione che rifiuta il perdono
Il destino di Giuda Iscariota, dopo il tradimento, è segnato dal rimorso. I Vangeli riferiscono che, visto l’esito della sua azione, cercò di restituire il denaro ai capi dei sacerdoti. Ma la loro risposta fu glaciale: “A noi che importa? Pensaci tu” (Mt 27,4). È la solitudine assoluta. Nessuna accoglienza, nessuna parola di comprensione, nessun gesto di misericordia da parte di coloro con cui aveva stretto l’accordo.
Giuda, colpevole e respinto, si auto-condanna. Getta via il denaro e si impicca. È un gesto estremo, di chi non intravede alcuna possibilità di redenzione. È qui che il suo destino si separa definitivamente da quello di Pietro. Anche Pietro ha tradito. Anche lui ha negato il Maestro, ripetutamente. Ma Pietro piange. Pietro si pente. E soprattutto, Pietro resta. Attende. Confida ancora, pur nel buio.
La differenza tra Giuda e Pietro non sta nella gravità del gesto. Sta nella direzione del cuore. L’uno si chiude nella disperazione, l’altro si apre alla possibilità di un perdono. Uno si fa giudice di se stesso, l’altro si affida al giudizio di Dio. Gesù aveva pronunciato parole durissime: “Guai a quell’uomo dal quale il Figlio dell’uomo viene tradito: meglio per lui se non fosse mai nato” (Mt 26,24). Parole che non sono una condanna inflitta, ma la constatazione della rovina interiore di chi rifiuta ogni speranza.
La tradizione cristiana non ha mai canonizzato la dannazione di Giuda, ma ha sempre indicato la sua fine come segno della tragedia di un’anima che si rifiuta di chiedere perdono. I due racconti evangelici sulla sua morte — l’impiccagione narrata da Matteo (Mt 27,5) e la caduta rovinosa descritta negli Atti (At 1,18) — non vanno letti come contraddittori, ma come due prospettive su uno stesso epilogo tragico. In entrambi i casi, la fine è lacerante, sproporzionata, priva di riscatto.
E forse proprio per questo Giuda resta il volto più tremendo del rifiuto della misericordia. Non perché abbia tradito, ma perché non ha mai voluto tornare.
Il bacio che continua a ripetersi
Di Giuda resta un gesto. Un gesto che ha attraversato i secoli come simbolo universale di ogni tradimento mascherato da fedeltà: il bacio.
L’arresto di Gesù nel Getsemani non è un’irruzione improvvisata. È un’operazione preparata nei dettagli. E il segnale che Giuda offre alle guardie è preciso: “Quello che bacerò, è lui: arrestatelo” (Mt 26,48). Non un segno qualunque. Non un semplice indicare. Ma un bacio. L’atto che, per eccellenza, esprime intimità, amore, riconoscimento.
Quel gesto — “Salve, Maestro” (Mt 26,49) — è l’icona immortale di ogni tradimento che nasce dentro la fede. È la fotografia di chi continua a dire “Maestro” con le labbra, mentre nel cuore ha già venduto la verità. È il gesto di chi indossa l’abito del discepolo, ma serve interessi opposti a quelli di Cristo.
Non è difficile riconoscere, in quel bacio, molti dei tradimenti di oggi. Non dei nemici dichiarati del Vangelo, ma di quelli che, dall’interno, dall’altare, dalla cattedra, dal potere ecclesiastico, vendono il Vangelo per compiacere i potenti di turno. Di chi svende la dottrina per cercare applausi. Di chi tradisce Cristo per convenienza, per paura, per interesse.
Giuda è morto. Ma il suo gesto si ripete. Non nei cortili bui di Gerusalemme, ma nei palazzi luminosi delle istituzioni religiose. Non con le monete d’argento, ma con altre ricompense: il consenso, la carriera, l’adulazione del mondo.
E ogni volta che il Vangelo viene svuotato della sua verità per renderlo accettabile, ogni volta che la fede diventa complicità con il potere invece che testimonianza coraggiosa, quel bacio ritorna.
Un bacio. Nella notte. Dentro la fede. Dentro la Chiesa.
Oggi come allora.
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