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Jorge Mario Bergoglio ormai davanti al giudizio di Dio

Jorge Mario Bergoglio

di LUIGI GIRLANDA

È morto Jorge Mario Bergoglio. La notizia ha generato, come prevedibile, una nuova ondata di retorica mediatica. L’uomo delle frasi informali, del “buonasera” pronunciato dal balcone della loggia, dei gesti a favore di telecamera, viene celebrato come simbolo di un rinnovamento, di una Chiesa “più vicina”, più popolare. Ma sotto questa narrazione, ormai consolidata, si nasconde il volto di un “pontificato” – definito così secondo la comune percezione, ma da anni oggetto di serie perplessità – che ha segnato con determinazione e senza tentennamenti una delle fasi più gravi del processo di autodissoluzione del cattolicesimo.

Per chi, come il sottoscritto, ha cercato in questi anni di denunciare pubblicamente ciò che molti altri preferivano ignorare o giustificare, quando intorno a Bergoglio c’era solo entusiasmo, adulazione e silenzio complice, non è oggi tempo di rivalse. È tempo di verità. Jorge Mario Bergoglio non è stato un’eccezione. È stato la più esplicita e spregiudicata espressione del modernismo conciliare, l’ultimo anello – certo il più rozzo e determinato – di una catena iniziata oltre sessant’anni fa.

Non si comprende la portata della sua figura se la si considera isolatamente. Il suo “pontificato” – più o meno legittimo, com’è ormai inutile fingere – si è svolto sotto l’ombra di perplessità mai del tutto dissipate. Non è questo il luogo per formulare un giudizio definitivo, ma è un fatto che da anni teologi, canonisti e semplici fedeli hanno sollevato dubbi, non si sa quanto fondati, sia sulla validità delle dimissioni di Benedetto XVI, sia sull’elezione di Jorge Mario Bergoglio.

Va detto con chiarezza: i dubbi sulla legittimità del “pontificato” di Bergoglio, pur diffusi, non sono la *magna quaestio*, come oggi si ama dire. Sui suoi predecessori – da Giovanni XXIII a Benedetto XVI – quasi nessuno ha mai osato sollevare perplessità sulla legittimità canonica, e tuttavia proprio quei pontificati, pienamente riconosciuti, hanno preparato la strada a ciò che oggi si compie. Il problema, dunque, non è primariamente giuridico, ma dottrinale. Non riguarda tanto le modalità di elezione, quanto la progressiva mutazione dell’autorità ecclesiastica, che da custode della verità rivelata si è trasformata in strumento di adattamento allo spirito del tempo.

Bergoglio ha rappresentato la continuazione – più esplicita, meno velata – di quella nuova ecclesiologia nata dal Vaticano II, che ha scambiato il compito di custodire la fede con quello di adattarla. Un’autorità nata per confermare i fratelli nella verità ha finito per piegare la verità al sentire del mondo. È questa la tremenda responsabilità che egli condivide con i suoi predecessori conciliari: aver trasformato la missione della Chiesa, da testimonianza della verità eterna a laboratorio di accoglienza fluida, dialogo orizzontale e riconciliazione con lo spirito del tempo.

Con Bergoglio, questa traiettoria ha raggiunto un punto di non ritorno. Le sue esternazioni ambigue, le riforme pastorali destabilizzanti, le dichiarazioni teologicamente strampalate – unite a una strategia comunicativa aggressiva, spesso sprezzante verso i fedeli legati alla Tradizione – hanno prodotto divisione, confusione, disorientamento. Mentre veniva proclamata a parole una Chiesa della tenerezza, si assisteva nei fatti a una gestione autoritaria e punitiva verso quanti non si allineavano al nuovo paradigma. Basti pensare a quanto è accaduto anche in contesti a noi vicini, dove diversi sacerdoti sono stati calunniati e allontanati nel silenzio complice dei cattolici benpensanti, solo perché fedeli alla dottrina di sempre e – ci si permetta dirlo senza infingimenti – colti e preparati nella diffusa ignoranza e arroganza di certo clero attuale.

Il caso della Messa tradizionale, colpita e umiliata con provvedimenti restrittivi senza precedenti nella storia recente, è solo uno degli esempi. Comunità fiorenti, famiglie numerose, vocazioni autentiche sono state penalizzate in nome di un’unità ideologica costruita a tavolino. Vescovi fedeli alla dottrina di sempre sono stati isolati, ordini religiosi smantellati, teologi silenziati. Non si tratta di una narrazione ostile, ma di fatti documentati, che resteranno come ferite aperte nella memoria ecclesiale.

Ma oggi Jorge Mario Bergoglio non è più protagonista della scena ecclesiale. È un’anima davanti al giudizio di Dio. Un giudizio che non si basa sul consenso raccolto, né sul favore dei media, né sull’effetto delle sue parole presso i nemici della fede, spesso rassicurati e adulati. Il giudizio divino si fonda sulla verità. Non conteranno le opinioni personali sul papato, ma ciò che il papato è realmente nella mente di Dio: un servizio alla rivelazione immutabile, non un laboratorio di esperimenti dottrinali.

Durante la sua malattia, molti – anche tra coloro che ne hanno fermamente contrastato l’operato – hanno pregato per la sua conversione. Perché questo è ciò che si deve fare per ogni uomo, specialmente per chi ha avuto il peso terribile di guidare la Chiesa in tempi così bui. Non c’è spazio per il rancore, né per la soddisfazione. C’è solo spazio per la giustizia e la misericordia. E c’è un’ultima verità da affermare: l’autorità, nella Chiesa, ha senso solo quando custodisce la fede ricevuta, non quando la trasforma in qualcosa d’altro.

Oggi non possiamo sapere cosa sia avvenuto nel suo cuore negli ultimi istanti. Ma possiamo e dobbiamo affidarlo alla misericordia di Dio, che è giusto e buono, e che solo conosce la misura del bene e del male compiuti.

Requiem aeternam dona ei, Domine.
Et lux perpetua luceat ei.
Requiescat in pace. Amen.