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L’8 marzo non può essere la festa dell’ipocrisia

stylish girl with a bouquet of fresh mimosa

L’8 marzo, giornata internazionale della donna come se vi debba essere una festa per chi del pianeta è essere vivente né più né meno come l’uomo, diventa ancora una volta l’esaltazione dell’ipocrisia, specialmente leggendo gli interventi di certi politici che dello sfruttamento delle donne, che del soddisfacimento di appetiti condivisi tra pruriti e carrierismo ha fatto una ragione di vita.

Il falso storico che sta alla radice di questa festa, perlopiù ideologizzata e strumentalizzata ad arte, fa emergere contraddizioni e spudoratezza senza confini.

Pensate a quei politici che, anche sui social, hanno esternato sulle donne parlando di diritti, sfruttamento, schiavitù, violenza fino a evocare risvolti familiari sebbene coinvolti in vicende poco edificanti.

In qualche caso sono gli stessi politici che sfruttano le donne utilizzando il proprio potere a scopi sessuali concedendo in cambio carriere nella pubblica amministrazione. Ci sono scandali indimenticabili, oggetto anche di vicende giudiziarie, e pessimo esempio, ai quali le stesse donne dovrebbero ribellarsi, sia nella dimensione domestica che all’esterno invece di fare finta di nulla, tollerare e perfino difendere certi “porci schifosi” senza dignità e ritegno.

Oggi quei politici dovrebbero tacere e invece ogni anno spiattellano il “sermone” puntando soltanto ad attirare consenso, perché ci casca qualche “ingenuo” o qualche donna incantata più che incantatrice in questo caso.

Per fortuna c’è chi sa e chi non si volta dall’altra parte né china la testa parlandone ed esternando tanto in pubblico quanto in privato. Questa barbarie farisaica deve finire, con una lotta senza quartiere all’ipocrisia e al malcostume. Si pensi agli uomini seri e alle donne irreprensibili che vivono la propria vita con i valori. Se l’8 marzo dev’esserci una festa, che almeno non lo sia per i “maiali” e le “maiale”. Le mimose non possono essere un depistaggio.