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Leone XIV, il fascino della tradizione e l’ombra della rivoluzione. Festa degli agostiniani a Gubbio

Papa Leone XIV sul balcone saluta il mondo dopo l'elezione

di LUIGI GIRLANDA

Il nuovo Papa Leone XIV ha già lasciato un segno profondo nel cuore dei fedeli. La sua elezione rappresenta un legame speciale anche per l’Umbria, terra che lo ha accolto solo un anno fa a Cascia, per la festa di Santa Rita. In quell’occasione, la sua presenza era stata un segno di attenzione e vicinanza alla comunità agostiniana, un ordine che ha guidato per anni e che a Gubbio vanta una delle comunità più numerose e vive dell’intera diocesi. Gli agostiniani di Gubbio, con la loro presenza costante e operosa, non possono che gioire per l’elezione di un religioso che conosce profondamente il carisma e l’eredità spirituale di Sant’Agostino.

Sin dal primo saluto dalla Loggia di San Pietro, Leone XIV ha voluto marcare una discontinuità rispetto al recente passato: non un semplice ‘buonasera’, ma un luminoso e potente ‘La pace sia con voi’, l’augurio che Cristo Risorto rivolse ai suoi discepoli. Un gesto che richiama la profondità del messaggio evangelico e riporta al centro il senso autentico del ministero petrino. Ancora più significativo è stato il nome scelto: Leone. Un rimando diretto al glorioso Leone XIII, il Papa che vide con occhi profetici l’attacco di Satana contro la Chiesa nella seconda metà del XX secolo. A seguito dello sconvolgimento per quella visione fu proprio Leone XIII a scrivere l’esorcismo che fino agli anni conciliari veniva recitato alla fine di ogni Messa, a difesa del Corpo Mistico di Cristo dagli assalti del demonio.

Ma Leone XIII è ricordato anche per un’altra straordinaria opera: l’enciclica Rerum Novarum, con cui iniziò il grande discorso sociale della Chiesa, un discorso profondamente in linea con la dottrina autentica e lontano da ogni ideologia o sentimentalismo pauperista che avrebbe poi imperato nel mondo cattolico post-conciliare. Rerum Novarum rappresentò un punto di svolta per la riflessione sociale cattolica, riaffermando i diritti dei lavoratori e il dovere della giustizia sociale, senza però scadere in quelle derive populiste o ideologiche che avrebbero contaminato il messaggio evangelico negli anni successivi.

Non meno simbolico è stato il gesto di far recitare un’Ave Maria, la preghiera cattolica per eccellenza. In un’epoca in cui il dialogo ecumenico ha spesso portato a minimizzare il culto mariano per non urtare la sensibilità protestante, Leone XIV ha riportato Maria Santissima al centro della devozione popolare, come colei che intercede per la Chiesa e la protegge nei momenti di maggiore tribolazione.

Anche il suo abito papale è stato un segnale chiaro: un ritorno alla sobrietà e alla dignità del ministero petrino, lontano da semplificazioni o rinunce simboliche che negli ultimi anni hanno impoverito l’immagine stessa del Successore di Pietro.

Eppure, le sue prime parole, al netto degli aspetti positivi che abbiamo evidenziato, sono state comunque perfettamente in linea con quella prospettiva rivoluzionaria inaugurata dal Concilio e accelerata in questi ultimi tempi. Ha riproposto con forza i consueti termini sulla sinodalità e sulla collegialità, pilastri di quella nuova impostazione ecclesiale che, pur rivestendosi di apparenze democratiche, ha spesso portato a un indebolimento dell’autorità petrina e a una confusione dottrinale diffusa.

Pensare che bastino simboli e parole per arrestare un processo rivoluzionario che, molto probabilmente, ha solo rallentato il passo, sarebbe un’illusione storica e teologica. Se davvero Leone XIV vorrà lasciare un segno, sarà il tempo a rivelarlo. Per ora, possiamo solo osservare i suoi primi passi, apprezzare i segnali positivi e vigilare sugli sviluppi futuri. La storia insegna che ogni Pontificato riserva sorprese, e mai come oggi la Chiesa ha bisogno di una guida salda e luminosa.