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Leone XIV inizia bene e ricorda al mondo che Gesù Cristo è l’unico vero salvatore

Papa Leone XIV sul balcone saluta il mondo dopo l'elezione

di LUIGI GIRLANDA

A poche ore dall’elezione, Papa Leone XIV ha presieduto la sua prima Messa nella Cappella Sistina, uno scenario carico di storia e simbolismo. Davanti al Collegio Cardinalizio, proprio nel luogo dove era stato eletto meno di ventiquattr’ore prima, il nuovo pontefice ha pronunciato un’omelia intensa e chiara, riportando al centro del discorso ecclesiale il cuore della fede cattolica: la divinità di Cristo.

Mentre il sistema mediatico (purtroppo in compagnia di molti sedicenti cattolici) si affannava a porre domande del tutto fuorvianti — ‘È americano ma con Trump o contro?’, ‘È tradizionalista o progressista?’, ‘Ha scelto un nome dell’Ottocento, dunque è ancorato a un’idea arcaica di Chiesa?’ — Leone XIV ha dato una risposta chiara e radicalmente diversa. Non sono le categorie politiche o culturali a definire il Successore di Pietro, ma la sua fedeltà alla Verità rivelata. Pietro ha questo compito: confermare i fratelli nella fede, non inventare strategie per compiacere il mondo. La sua professione di fede: ‘Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente’ (Mt 16,16), gli valse il primato sugli altri apostoli, fondando così la missione della Chiesa nel proclamare la divinità di Cristo.

Papa Leone XIV ha scelto di partire proprio da questa professione di fede di Pietro, la stessa che ha fondato la Chiesa e le ha conferito la sua missione salvifica. Durante l’omelia, il Pontefice ha ricordato con forza che Gesù Cristo non è solo un maestro di saggezza o un uomo retto, ma il Figlio di Dio incarnato, l’unico vero Salvatore e rivelatore del volto del Padre.

Significativo è stato il suo riferimento alla domanda di Gesù: «La gente chi dice che sia il Figlio dell’uomo?» (Mt 16,13), evidenziando come anche oggi molti riducano Cristo a un semplice profeta, un leader carismatico o un personaggio morale, negandone di fatto la divinità. Leone XIV ha definito questo atteggiamento come una forma di ‘ateismo pratico’, persino tra coloro che formalmente si dichiarano cattolici.

Le sue parole, risuonate tra gli affreschi di Michelangelo, hanno ribadito un concetto chiave: la Chiesa deve essere città posta sul monte (Ap 21,10), arca di salvezza e faro che illumina le notti del mondo, non attraverso le sue strutture o i suoi monumenti, ma grazie alla fedeltà alla Verità rivelata.

Eppure, accanto a queste parole di grande chiarezza teologica, restano alcune ombre: il linguaggio della sinodalità, il continuo appello a ‘costruire ponti’ e altre espressioni ambigue che ricordano un certo modernismo post-conciliare. È qui che sorgono le prime perplessità: riuscirà Leone XIV a mantenere questa fedeltà dottrinale nel lungo cammino del pontificato, oppure queste ambiguità finiranno per trascinare la Chiesa ancora una volta verso derive progressiste? Un interrogativo che resta aperto, ma che trova in questa prima omelia un segnale di speranza ancora da confermare.

Leone XIV ha concluso con un appello all’umiltà e alla testimonianza, citando le parole di Sant’Ignazio di Antiochia: «sparire perché rimanga Cristo, farsi piccolo perché Lui sia conosciuto e glorificato». Una visione di un papato che non cerca la propria grandezza, ma che scompare per far brillare la luce di Cristo.

Parole che possono aiutare a comprendere cosa significhi davvero un papato umile. Non è forse un vero atto di umiltà sottomettersi completamente al mandato ricevuto, senza interpretazioni personali o strategie comunicative, ma servendo il ‘pontificato’ stesso? Il papato si riceve, con tutta la sua ritualità, le sue vesti, le sue scarpe. Ogni particolare ha una precisa valenza simbolica che parla al mondo e alla Chiesa di cosa sia realmente il Successore di Pietro: non un leader carismatico che porta avanti le sue idee, non un interprete dei tempi, ma il Vicario di Cristo.

Queste tradizioni, tramandate per secoli, sono parte integrante di un linguaggio che comunica l’essenza del pontificato. Non sono le idee personali a contare, ma quelle della bimillenaria storia che ci ha preceduto. Il papato non si interpreta, ma si serve umilmente, riconoscendo che la vera grandezza del pontefice non sta nel piegare la Chiesa al mondo, ma nel trasmettere fedelmente quanto ricevuto. Solo chi si fa piccolo davanti a duemila anni di storia può davvero dirsi un ‘servo dei servi di Dio’. Ed è su questo che si giudica un pontificato: non sugli applausi del mondo o sui consensi del media system, ma sulla fedeltà al mandato ricevuto, su quella testimonianza di Verità che attraversa i secoli e non si piega alle mode del momento.