La Corte Costituzionale ha messo fine al dibattito giuridico e politico sulla legittimità dell’abrogazione del reato di abuso d’ufficio. Con una decisione attesissima, arrivata dopo l’udienza fiume di mercoledì e la successiva camera di consiglio, la Consulta ha ritenuto non fondate le questioni di legittimità costituzionale sollevate da 14 autorità giudiziarie, tra cui la Corte di Cassazione, contro la legge 114 del 2024 (riforma Nordio). L’unico profilo ritenuto ammissibile era quello legato agli obblighi internazionali derivanti dalla Convenzione Onu contro la corruzione, la cosiddetta Convenzione di Merida, ma anche su questo punto i giudici costituzionali hanno concluso che «non è ricavabile né l’obbligo di prevedere il reato di abuso d’ufficio, né il divieto di abrogarlo ove già presente nell’ordinamento nazionale». Le motivazioni della sentenza saranno depositate nelle prossime settimane.
La pronuncia della Consulta ha un impatto diretto sul processo in corso a Firenze che vede tra gli imputati l’ex procuratore aggiunto di Perugia Antonella Duchini. Il procedimento era stato sospeso proprio in attesa della decisione della Corte, dopo che il tribunale fiorentino aveva sollevato dubbi di legittimità costituzionale sull’abrogazione del reato, ipotizzando una possibile violazione degli obblighi internazionali.
Soddisfatte le difese. «Dalle informazioni provvisorie disponibili apprendiamo che la Corte Costituzionale avrebbe dichiarato la infondatezza delle questioni di legittimità sollevate da numerose Autorità giudiziarie sul presupposto, rivelatosi erroneo, di un presunto contrasto tra la Legge Nordio e la convenzione Onu di Merida sulla lotta alla corruzione – scrivono in una nota gli avvocati Nicola Di Mario e Michele Nannarone, difensori di Antonella Duchini -. Hanno trovato integrale accoglimento le obiezioni difensive formulate poiché l’accordo multilaterale non fissava, a carico degli Stati firmatari, né l’obbligo di prevedere la criminalizzazione dell’abuso d’ufficio né, tantomeno, un divieto di regresso ostativo alla abolitio criminis. Si chiude, così, un dibattito inevitabilmente connotato da venature politiche».
Sulla stessa linea la difesa dell’imprenditore di Gubbio Carlo Colaiacovo, anch’egli imputato nel processo di Firenze, che ha espresso soddisfazione per l’esito del giudizio di costituzionalità celebrato dinanzi alla Consulta. Già al termine della complessa e articolata udienza di discussione, ultimata con gli interventi dell’Avvocatura dello Stato. La Corte Costituzionale – viene fatto notare dalla difesa di Colaiacovo – ha statuito l’infondatezza delle questioni di legittimità sollevate dai giudici rimettenti, affermando che la Convenzione di Merida non contiene l’obbligo di incriminare condotte riconducibili all’abuso d’ufficio né il divieto di abrogarle, ove già presenti nell’ordinamento domestico.
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