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Quando gli anarchici atei e marxisti fanno i teologi

di LUIGI GIRLANDA
C’è qualcosa di profondamente comico – se non fosse tragico – nel leggere e ascoltare certi commenti che, in occasione della morte di Jorge Mario Bergoglio, si affannano a spiegare al mondo cosa dovrebbero pensare i cattolici.
A firmarli non sono teologi, né uomini di Chiesa, né studiosi del Cristianesimo. No, oggi basta essere anarchici atei e marxisti per sentirsi legittimati a giudicare il pontificato, a emettere sentenze sulle reazioni dei fedeli, a giudicare la fede degli altri pur essendo atei e persino a pontificare su cosa dovrebbe essere la Chiesa. È il vecchio paradosso: non credono al Paradiso ma voglio stabilire loro chi ci va e come ci si va.
Sarebbe anche divertente, se non fosse l’ennesimo segno dei tempi: in un’epoca di ignoranza conclamata, chi ha disprezzato 265 papi su 266, chi ha sempre irriso la fede e chi non sa distinguere una bolla pontificia da una bolla di sapone, oggi si arroga il diritto di fare il maestro. E lo fa col tono di chi pensa di aver capito tutto, pur non sapendo nulla.
Ma la colpa non è solo sua. Perché un tempo, a sparare fandonie simili, ci si guadagnava almeno una smentita, un richiamo, una simpatica tiratina d’orecchie. Oggi no. La neo-chiesa che occupa i vertici visibili dell’istituzione non solo non corregge, ma anzi ringrazia. È troppo impegnata a piacere al mondo per ricordarsi che la sua missione è salvare le anime. È troppo occupata a cercare consensi tra i non credenti per rendersi conto che, così facendo, ha perso i credenti.
È in questo vuoto che prosperano certe esternazioni. Chi non crede, chi non conosce, chi disprezza, oggi può permettersi di fare lezioni di dottrina, tanto la neo-chiesa è forse più ignorante di lui. Nessun rischio ecclesiale, nessuna correzione, nessuna indignazione da parte di chi dovrebbe – per vocazione e per ufficio – difendere la fede.
Ma non tutto è perduto. Esistono ancora uomini e donne che non si piegano, che conoscono la fede e la custodiscono. Esistono ancora voci che non si fanno zittire dalla ridicolaggine di certi giudizi. E continueranno a parlare. Con libertà, con rispetto, ma anche con la fermezza di chi sa che la verità – anche oggi – merita di essere detta.