Alla vigilia dell’anno che celebra Raffaello Sanzio, torna a riaccendersi l’interesse per un’opera pittorica ritrovata a Gubbio agli albori del terzo millennio e ancora da studiare in maniera adeguata. Mentre l’Italia intera – a cominciare dalle Marche e dall’Umbria – si prepara a celebrare il quinto centenario dalla morte del grande artista urbinate, studiosi e critici d’arte ripropongono l’interrogativo di quanto e come il genio del Rinascimento italiano abbia contribuito alla realizzazione del Gonfalone processionale della Confraternita eugubina del “Corpus Domini”.
Si tratta di una interessante composizione bifacciale su tela, con altezza di 208 centimetri e larghezza di 179, raffigurante il Risorto con la croce, con uno schienale retto da tre angeli, con i santi Ubaldo e Francesco inginocchiati per la venerazione del Salvatore. Sant’Ubaldo sta raccogliendo in un calice d’oro il sangue che esce dalla ferita del costato di Gesù. Le due facce del gonfalone hanno lo stesso soggetto, ma differenze rilevanti di carattere artistico e cromatico.
Nell’ottobre
del 2005, furono la storica dell’arte della Soprintendenza di
Perugia, Giordana
Benazzi,
e il direttore dell’Ufficio beni culturali della diocesi di Gubbio,
Paolo
Salciarini,
a presentare le conclusioni di tre anni di studio sul dipinto e i
risultati delle analisi effettuate con tecniche a infrarossi,
riflettografia, fluorescenza a raggi X e microscopio a scansione
elettronica per osservare le sezioni stratigrafiche. A rendere più
intrigante e fitto il mistero sull’attribuzione raffaellesca
contribuì allora anche un particolare trigramma che, a una prima
osservazione, evidenziava una R e una V, tracciate ripetutamente sul
piviale indossato dal vescovo e patrono di Gubbio, Sant’Ubaldo.
Un
esame accurato del paleografo Massimiliano
Bassetti
invitava
a interpretare il monogramma con l’espressione “Raphael Urbinas”.
Sarebbe, dunque, una vera e propria firma del maestro urbinate. “Per
uno storico dell’arte –
spiega Luca
Tomio
–
trovarsi
di fronte a un’opera come questa, ancora in fase di restauro, e
vedere come piano piano emergono gli aspetti originari, è davvero
emozionante”. Tomio
è consulente scientifico e conduttore del documentario per il
cinquecentenario di Raffaello, che la Sydonia Production sta
realizzando per i canali Rai, promosso dal Comune di Urbino e della
Regione Marche. “Sotto
ai nostri occhi –
continua lo storico dell’arte –
si
materializza il percorso di Raffaello tra Urbino e l’Umbria. Non è
un caso, dunque, che lo stendardo si trovi a Gubbio. La città ora è
in Umbria, ma un tempo era nel Ducato dei Montefeltro. E, tra
l’altro, questo gonfalone è stato realizzato per la Confraternita
del Corpus Domini, della quale faceva parte anche Giovanni Santi, il
padre di Raffaello. Dunque, un ambito non solo familiare, dal punto
di vista artistico, ma anche legato alle committenze. Sul gonfalone
noi vediamo la mano del giovane Raffaello, con molta probabilità a
un’età di 15-16 anni. E, seguendo il restauro, possiamo via via
percepire quelli che sono stati i passaggi di un’opera corale della
bottega di Giovanni Santi, ma anche dello stesso Raffaello e del suo
pennello”.
Su richiesta della direzione del Museo diocesano di Gubbio e grazie all’interessamento del comandante del Nucleo tutela patrimonio culturale di Perugia, Luca Tomio è arrivato a Gubbio nei giorni scorsi per vedere lo stato del dipinto, insieme a Marcello Castrichini, autorevole restauratore di Todi. Insieme avevano riscoperto la prima opera ad affresco che Raffaello eseguì a Perugia nel 1500, già segnalata da Filippo Todini trent’anni fa. Prima di un sopralluogo a Spello, Tomio e Castrichini hanno potuto vedere lo stendardo della Confraternita eugubina del Corpus Domini, è sono convinti che si tratti di un’opera della bottega urbinate, nella quale si può apprezzare anche la mano di un giovane Raffaello, tanto che hanno deciso di inserire l’opera nel documentario televisivo in fase di ultimazione. “Il restauro conservativo in corso è ineccepibile, oggi è raro vederne di questo livello”, commenta Castrichini davanti al gonfalone.
“Ci troviamo di fronte a un’opera particolarmente danneggiata – continua il restauratore tuderte – ma tutti gli stendardi antichi purtroppo lo sono, visto il loro uso. Malgrado ciò viene fuori una evidente impostazione della pittura dell’ambiente marchigiano della bottega di Santi. Emerge anche che abbiano partecipato più mani, più pittori. Per questo troviamo dei particolari più eccelsi e più vicini a Raffaello, accanto a dettagli di livello inferiore, ma questo in una bottega è normale”.
Tomio e Castrichini sono convinti che il dipinto processionale bifacciale eugubino sia una sorta di “anello di congiunzione”, una fase di passaggio tra il periodo urbinate e quello umbro di Raffaello. Un intervento che il pittore, in età giovanile, avrebbe fatto sia sulla fase compositiva e preparatoria dell’impianto pittorico, sia nella realizzazione diretta e con il suo pennello di alcuni particolari figurativi.
“Finalmente
–
afferma il direttore del Museo diocesano di Gubbio, monsignor Pietro
Vispi
–
dopo
molti anni di stasi e di fermo, il lavoro di restauro comincia a far
leggere bene fino a che punto è intervenuto il giovane Raffaello in
questo dipinto. È un interesse di tutta la diocesi, soprattutto per
la storia dell’arte cittadina e ci auguriamo che questa data ormai
imminente dell’avversario della morte di Raffaello possa segnare
per la città la nascita della sua presenza accertata qui. Presenza
che emerge con chiarezza secondo gli storici dell’arte che la stanno
vedendo e la stanno leggendo ultimamente”.
Il
gonfalone, dal 2005 in poi, ha suscitato una crescente curiosità,
specie tra cultori del Rinascimento e critici d’arte. Nel 2009 è
stato esposto al Palazzo Ducale di Urbino nella mostra dedicata alla
formazione di Raffaello e ai rapporti con la città natale. Dal
settembre 2011 al gennaio 2012 è stato alla mostra “Alla Mensa del
Signore, capolavori dell’arte europea da Raffaello a Tiepolo”
presso la Mole Vanvitelliana di Ancona, in occasione del XXV
Congresso Eucaristico nazionale. Infine, nel 2013, l’opera è stata
portata a Novi Sad in Serbia per la mostra “Umanesimo e
Rinascimento nell’Appennino centrale”. Per il 2020 la diocesi
eugubina sta mettendo in cantiere nuovi interventi di restauro e una
formula espositiva innovativa e suggestiva.
Hai domande?
Trovaci sui social o Contattaci e ti risponderemo il prima possibile.