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Il Giovedì Santo di Gesù ci insegna ciò che conta. La salvezza viene solo dai sacramenti

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Il Cristo Morto e la statua della Madonna Addolarata custoditi nella chiesa di San Domenico a San Martino

di LUIGI GIRLANDA

“Al giorno d’oggi non è più l’eresia, ma la retta dottrina a fare notizia”: sono parole del cardinale Giacomo Biffi, oggi più attuali che mai. Proprio nel momento in cui ci apprestiamo a vivere il triduo pasquale più anomalo di sempre – per la prima volta, infatti, è vietata la partecipazione dei fedeli a riti millenari della tradizione cattolica – sarà bene fare un po’ di chiarezza su cosa è veramente essenziale per la vita dei fedeli. Una chiarezza che è mancata, ci sembra, sia in chi ha chiesto una riapertura incondizionata delle chiese ai fedeli (come, per esempio, ha fatto Matteo Salvini) sia in chi ha criticato scandalizzato questa richiesta, con argomenti in verità banali e patetici (il comico Fiorello se ne è uscito dicendo che “Dio non si offende se lo preghiamo nel bagno di casa”).

Vescovi e sacerdoti, inoltre, preoccupati ormai di piacere più ai lettori di “Repubblica” che non a Dio, si sono limitati a un’accettazione acritica dei provvedimenti del governo, senza preoccuparsi di mettere in guardia dal vero pericolo per le anime, che non è certo l’eventuale chiusura degli edifici dove riunirsi a pregare, ma la drammatica privazione della possibilità di accedere ai sacramenti. Ora, che un governo laicista permetta, con le doverose e giuste precauzioni, di andare a portare a spasso il cane o a comprare il cibo per il gatto, ma vieti – a parità di giuste e doverose precauzioni – di andare a confessarsi o a fare la comunione, è cosa normale.

Atei e massoni, si sa, fanno da sempre la loro parte per combattere Gesù Cristo e la fede in lui. Meno normale è che nessun vescovo o sacerdote dica niente o rivendichi il diritto di poter svolgere, nel pieno rispetto di tutte le doverose precauzioni del caso, il proprio ministero di assistenza a malati e morenti.

Ecco allora che la domanda da porsi è proprio quella da cui siamo partiti: cosa è essenziale per la vita dei fedeli? La risposta la troviamo proprio nel significato autentico del Giovedì Santo, che segna la fine della quaresima e l’inizio del triduo pasquale. Si tratta del giorno in cui Gesù Cristo ha istituito ben due sacramenti: “eucaristia e sacerdozio”. Possiamo anzi dire che il sacerdozio è stato istituito in funzione dell’eucaristia. I sacerdoti esistono solo per perpetrare la presenza reale di Cristo nel mondo, attraverso la celebrazione dell’eucaristia.

Ma cos’è allora l’eucaristia? E’ il sacramento per eccellenza, quello che rende presente Cristo, realmente e “sostanzialmente”, come vittima che si offre al Padre per la remissione dei peccati. Molti non sanno che la parola “ostia” significa proprio “vittima”. Ogni volta che viene celebrata la messa, indipendentemente dalla presenza o meno del popolo, viene rinnovato il sacrificio della croce. Sacrificio propiziatorio che placa la giusta ira di Dio contro il peccato e lo rende “propizio” (favorevole, benevolo). Per questo è follia diminuire il numero delle messe, come si fa da anni quando, nelle domeniche di quaresima, per far andare tutti alla messa con il vescovo, si sopprimono le messe pomeridiane in parrocchia. Ogni messa celebrata – anche senza popolo – porta beneficio a tutte le anime, sia di noi che ancora siamo sulla Terra sia di coloro che stanno soffrendo in Purgatorio.

Da questo punto di vista, nelle circostanze drammatiche in cui ci troviamo, i sacerdoti potrebbero ovviare al momentaneo impedimento, assicurando la moltiplicazione di messe celebrate individualmente e senza popolo. Il dramma è che la teologia progressista e sbagliata, insegnata da decenni e senza disturbi in tutti i seminari e istituti teologici, ha inculcato nella testa dei preti che la messa senza la comunità non ha alcun senso. Le cose si complicano ulteriormente quando si riflette sul fatto che la messa non è solo un sacrificio propiziatorio, ma anche – subordinatamente a questo – un banchetto dove nutrirsi dell’unico cibo che salva dalla dannazione eterna. È in questo che la neochiesa, ormai completamente protestantizzata, non ha fatto sentire la propria voce.

Il problema per l’anima dei fedeli non è il non avere un luogo dove pregare o il non poter assistere (per un periodo speriamo limitato) fisicamente alla messa, ma il non avere la possibilità di nutrirsi del corpo di Cristo. Su questo andava fatta una battaglia, non su processioni o statue da omaggiare – cose legittime, belle, doverose e sante, ma che possono essere tralasciate in una situazione di emergenza. Accostarsi ai sacramenti – primo fra tutti l’eucaristia, ma anche, ovviamente, la confessione o l’unzione degli infermi – è invece un diritto fondamentale, per cui è legittimo combattere anche a costo di pagare qualche prezzo.

Sarebbe possibile, come per altre attività tipo l’acquisto dei farmaci, assicurando tutte le precauzioni possibili e immaginabili, permettere ai fedeli di ricevere la comunione (farmaco per la vita eterna) o ai sacerdoti di portarla alle persone che ne facessero richiesta. Anche perché non è che Gesù diceva per scherzo quando ha pronunciato queste tremende parole: “In verità, in verità vi dico, se non mangiate la carne del Figlio dell’uomo e non bevete il suo sangue, non avete la vita in voi stessi.

Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna; e io lo risusciterò nell’ultimo giorno” (Gv. 6, 53-54). Né dovremmo dimenticare la drammatiche domande che Cristo ci ha posto: “Che giova all’uomo guadagnare il mondo intero, se poi perde la propria anima? E che cosa potrebbe mai dare un uomo in cambio della propria anima?” (Mc. 8, 36-37).