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La risurrezione di Gesù. Fatto storico realmente accaduto e speranza che non delude

di LUIGI GIRLANDA

La risurrezione di Cristo non è una pia leggenda, ma un evento reale, avvenuto il giorno dopo il sabato della Pasqua dell’anno 30. I testimoni che hanno stilato il racconto dettagliato della passione e morte di Gesù, sono gli stessi che poi testimoniano, senza soluzione di continuità, la sua risurrezione nella carne. I discepoli del maestro di Nazareth, come è noto, una volta avvenuta la tragedia della cattura e poi dell’uccisione di Gesù, si sono nascosti spaventati in attesa che le acque si placassero e potessero tornare – ovviamente delusi, ma comunque vivi – alle loro vite di prima.

Il loro capo, Pietro, rintanato con loro nel Cenacolo, dove solo qualche giorno prima aveva mangiato con Gesù, sa bene di aver negato per ben tre volte perfino di conoscere il maestro, pur di evitare un qualunque coinvolgimento in ciò che stava accadendo. Al momento dell’arresto tutti sono fuggiti via spaventati, lasciando solo Gesù. Sotto la croce, a parte Giovanni, nessun discepolo è restato accanto al maestro. In cammino verso Emmaus, due di essi esprimono a un viandante tutto il rammarico e lo stato di frustrazione che li ha colti dopo l’evidente fallimento dell’uomo che avevano creduto essere il Messia, usando un drammatico verbo all’imperfetto: “noi speravamo che fosse lui a liberare Israele”. Non dimentichiamo che quegli uomini erano tutti dei pii israeliti, persone cioè che conoscevano bene la Scrittura, la quale considera “maledetto da Dio chi pende dal legno” (cfr. Dt. 21,22).   

Improvvisamente, però, accade qualcosa che li spinge non solo a uscire dal buco dove si erano rintanati, ma addirittura a proclamare in pubblico che quel “maledetto da Dio” è alla pari con Jahvè, adorato dagli ebrei come l’Unico, l’Indicibile, l’Irrappresentabile e addirittura Innominabile per timore di mancargli di rispetto pronunciandone il nome. Non solo, per annunciare questa dottrina scandalosa per le orecchie dei giudei – l’equiparazione di un uomo, per giunta morto “appeso a un legno”, all’unico Dio (non dimentichiamo che ogni ebreo avrebbe preferito farsi lapidare piuttosto che riconoscere una qualunque equiparazione di Abramo, Mosè o re Davide con Jahvè) – per annunciare, dunque, quella dottrina sfidano anche il martirio più atroce. Cosa è accaduto tra la pavidità imbarazzante dei giorni precedenti e il coraggio eroico che da quella domenica mattina li rende capaci – usque ad effusionem sanguinis – di sfidare il Sinedrio e perfino l’Impero romano, conquistando alla loro fede il mondo intero? 

A questo effetto inaudito e inspiegabile – degli ebrei pavidi e ignoranti che, nell’ambiente più rigidamente monoteista che mai la storia abbia conosciuto, equiparano un uomo a Dio stesso – deve corrispondere un “detonatore” adeguato. Scrive Vittorio Messori: “È quello che la fede – con molta più logica e coerenza di ogni altra ipotesi demitizzatrice – scorge nel ritorno reale, irrefutabile di un uomo del quale si era constata la morte, che si era deposto nel sepolcro e vince, con quella sua presenza, ogni istintivo moto di rifiuto, di negazione di una realtà tanto contraria alle attese. Un ex morto che mangia e che beve e che, al contempo, può raggiungere i suoi anche se le porte di casa sono sprangate”.

Sarà bene chiarire quindi in cosa consiste la risurrezione di Cristo. Non è un semplice ritorno alla vita, come quello per esempio di Lazzaro, l’amico che Gesù “risuscitò”. In realtà il termine è equivoco. Quella di Lazzaro non fu una risurrezione ma, piuttosto, una “rianimazione”. Fu riportato alla vita terrena e, dopo qualche anno, morì di nuovo e definitivamente. Gesù solo è invece “risuscitato” nel senso pieno del temine: è cioè entrato in una sfera di vita nuova, definitiva e immortale. Questo nuovo stato di vita ha sì qualcosa di antico (Gesù è proprio lui, ha un corpo materiale e addirittura porta ancora i segni della passione), ma è anche entrato in una dimensione completamente nuova che lo plasma e anima. Un corpo trasfigurato, che a volte non si fa riconoscere, che può attraversare la materia, ma che ancora mangia. Vangelo di Luca: Gesù risorto disse «Avete qui qualcosa da mangiare?» Gli offrirono una porzione di pesce arrostito; egli lo prese e lo mangiò davanti a loro” (24, 41-43). 

La sera dell’arresto, mentre era nel Getsemani, Gesù disse ai suoi discepoli: “Nella casa del Padre mio vi sono molti posti. Io vado a prepararvi un posto; quando sarò andato e vi avrò preparato un posto, ritornerò e vi prenderò con me, perché siate anche voi dove sono io” (Gv 14, 2-3). Poi, pregando il Padre, prima di essere arrestato disse: “Non prego solo per questi (i discepoli che erano con lui, ndr), ma anche per quelli che per la loro parola crederanno in me; perché tutti siano una cosa sola (…). Io in loro e tu in me (…). Padre, voglio che anche quelli che mi hai dato siano con me dove sono io” (Gv. 17, 20-24).

Gesù è il primogenito di coloro che risuscitano dai morti. Anche noi, lo ha espressamente promesso, saremo dove è lui. Risorgeremo con il nostro corpo. Nel Credo si dice chiaramente: “aspetto la risurrezione dei morti e la vita del mondo che verrà”. Anche noi, come ha detto solennemente Gesù, risorgeremo con lui e saremo dove è lui. Alla fine dei tempi, quando Cristo tornerà nella gloria, riprenderemo il nostro corpo. E sarà un corpo trasfigurato, come quello di Gesù. Riabbracceremo fisicamente le persone che abbiamo amato in questa vita. Quando abbiamo sepolto qualche nostro caro, quella bara non era la parola definitiva su di lui e sul suo corpo. “Io credo risorgerò, questo mio corpo vedrà il Salvatore” si canta spesso ai funerali. Non c’è speranza più grande che sia data agli uomini, se non quella che nasce da quel sepolcro trovato vuoto duemila anni fa e dall’incontro con Colui che ne è uscito definitivamente. 

È tutto vero, non è una pia leggenda. È un fatto storico realmente accaduto e testimoniato e su cui si possono fare tutte le indagini e verifiche possibili per verificarne la credibilità. È tutto vero! Lo fa capire la ragione… lo fa sentire il cuore.