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Css nei cementifici, a Gubbio è caccia alle streghe: Emilia Romagna, Lombardia, Veneto e Piemonte hanno autorizzato

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Gubbio avamposto dello scontro ideologico sul Css. L’ultima iniziativa dell’ecodistretto ha riacceso il dibattito, nella corsa tutta politica a sinistra per cavalcare taluni umori popolari soprattutto per scopi elettorali (anche qualche giovane rampante si fa tirare dentro perché c’è in ballo la successione di Stirati e sul tema non si vuole lasciare tutto il campo libero al solito vecchio Goracci).

La vicenda del Css viene alimentata nel dibattito locale, da soggetti per lo più senza alcuna competenza in materia e sebbene la sfera decisionale sia interamente sovracomunale poiché le normative e i provvedimenti sono in capo all’Unione Europea, lo Stato e le Regioni. Le autorizzazioni si legano soprattutto alle normative riferite allo Co2 con parametri, limiti e costi che, specie quest’anno, mettono in forte difficoltà le cementerie italiane rispetto al contesto europeo.

Ci sono ripercussioni anche sull’occupazione e l’indotto, sottolineando come le cementerie Barbetti e Colacem abbiano un’incidenza notevole sul Pil eugubino dispensando stipendi annui per 40 milioni. Un ulteriore crollo della produzione e dell’attività rischia di portare a tagli occupazionali.

Per contrastare le politiche industriali, evidentemente i politici eugubini – in particolare il sindaco Filippo Mario Stirati – hanno sicuramente pronte delle alternative produttive e occupazionali per rilanciare l’economia di un territorio sempre più depresso e che costringe i giovani a cercare altrove le opportunità e gli sbocchi.

C’è di più nel dibattito sull’ambiente: la politica locale, cavalcando le associazioni e i comitati, parla sempre e soltanto del Css e si guarda bene dal pronunciarsi sulla drammatica situazione della sempre più satura discarica comunale di Colognola, da anni al centro di esposti, denunce e inchieste con la mobilitazione dei residenti della zona, né tiene conto delle fonti di inquinamento consolidate come il riscaldamento, gli scarichi, le attività di varia natura.

Sul Css il dibattito localistico è prigioniero di vecchi marpioni della politica, mentre altrove si lascia spazio alle normative e ai pronunciamenti dei tecnici esperti in materia. Le autorizzazioni all’uso del Css nelle cementerie stanno arrivando da più parti d’Italia: hanno già autorizzato Emilia Romagna, Lombardia, Veneto e Piemonte. Si tratta di realtà territoriali molto diverse tra loro e peraltro con amministrazioni di colore politico differente.

Il Consiglio Regionale della Lombardia, nel settembre scorso, ha approvato l’utilizzo del combustibile solido secondario nel testo che evidenzia come il Css “è un combustibile ottenuto dalla miscelazione controllata della componente secca (plastica, carta, fibre tessili, ecc.) dei rifiuti non pericolosi, sia urbani sia speciali, e può trovare impiego in impianti industriali esistenti quali cementifici, acciaierie, centrali termoelettriche, ecc. in sostituzione ai combustibili tradizionali; il Css Eow è un combustibile solido derivato dalla lavorazione dei rifiuti non pericolosi, che sulla base di specifiche caratteristiche merceologiche e chimico fisiche cessa la sua classificazione come rifiuto divenendo un combustibile a tutti gli effetti”.

Viene rimarcato che “il settore del cemento rappresenta una risorsa sottoutilizzata nella chiusura del ciclo dei rifiuti e degli scarti di altri processi industriali e costituisce un’alternativa preferibile a forme di smaltimento altamente impattanti come la discarica o l’export di rifiuti verso l’estero. In Italia il tasso di utilizzo dei combustibili di recupero, in sostituzione di quelli fossili, si ferma al 19,7 per cento contro un 46 per cento della media europea”.

La Lombardia va oltre, prevedendo “l’inclusione delle cementerie come sostegno alla chiusura del ciclo dei rifiuti e alla riduzione del conferimento in discarica. In Lombardia insistono cinque impianti di produzione di cemento autorizzate per un totale di 150mila tonnellate di combustibili di recupero e una potenziale inespressa di valorizzazione di combustibile di recupero di circa 200mila tonnellate. L’incremento delle quantità utilizzate di Css e di altri combustibili di recupero porterebbe a una riduzione del costo unitario di questa forma di valorizzazione e a un risparmio per la collettività. Il recupero energetico dei Css, grazie alla biomassa presente, consente una riduzione di Co2 rispetto all’uso di solo combustibile fossile oltre che una riduzione anche delle emissioni (metano) associate allo smaltimento dei rifiuti in discarica”.

Le mobilitazioni di comitati e associazioni non stanno trovando riscontri nei ricorsi. Di questi primi giorni del 2021 è la notizia che il Tar del Lazio ha bocciato la richiesta di annullamento in Emilia Romagna della delibera regionale sull’uso del carbonext. Il ricorso è stato presentato quattro anni fa da 180 cittadini della Valdarda, nel piacentino, per l’annullamento della delibera regionale che aveva dato il via libera all’uso del combustibile solido secondario nel cementificio Buzzi Unicem di Vernasca, vicinissimo al confine territoriale con il Comune di Lugagnano.